L’acciaieria fumante
Mi avvicino alla finestra. All’orizzonte lo scenario spettrale dell’acciaieria, scheletro di lamiere e ciminiere sullo sfondo di un cielo blu cobalto. Sgrano gli occhi, turbato e inquieto “Ma che succede?” penso. Cinzia ed Ettore non ci sono, ma sul frigo trovo un foglio appiccicato con una calamita. “Siamo dai nonni. Compra il surrogato di mele e di arance per Ettore e qualche scatoletta di carne sintetica. Copriti mi raccomando” c’è scritto. “Certo che mi copro, siamo a febbraio” penso. Guardo ancora alla finestra ma il mostro è sempre lì.
Mi precipito fuori. L’afa bestiale soffoca una città deserta. “Dio, non si respira” e intanto mi sfilo il giubbotto legandolo in vita. Attraverso la strada, e mi ritrovo di fronte ancora lo scenario inquietante dell’acciaieria fumante. “Non può essere vero” penso “l’hanno buttata giù undici anni fa, come fa ad essere di nuovo lì?”. Per di più Cinzia mi chiede di comprare frutta surrogata e carne artificiale, siamo a febbraio ma ci saranno almeno trentacinque gradi e per strada non c’è anima viva. “Sto diventando matto” penso. Il panico aumenta. I pochi passanti vagano per strada indossando maschere antigas. “Ma dove sono finito?”. Poi una donna mi parla da dietro la maschera “Non vada in giro così, finirà intossicato. Maledetto monossido e maledetta acciaieria!” Si volta bestemmiando e in un attimo scompare. Tutto torna, penso. “Copriti mi raccomando”, aveva scritto Cinzia. Mi stringo il giubbotto intorno al viso per riparare naso e bocca e corro verso casa. I piedi mi pesano come blocchi di granito. Mi gira la testa. Mi manca il respiro. Mi sento soffocare. Cerco un appoggio, qualcuno che mi aiuti.. Precipito nel buio. Ahhhhhhhh…
Mi sveglio. Ettore è seduto sul mio torace che quasi non mi fa respirare. “Papà, basta dormire, sei tutto sudato” mi dice saltando giù dal divano. “Paolo, sei sveglio? Bisogna fare un po’ di spesa, comprare un po di mele, delle arance e qualche scatoletta di carne per Carlotta” mi ricorda Cinzia. Mi avvicino alla finestra, ho paura a guardare. All’orizzonte prendono vita i contorni delineati del primo parco ecosostenibile d’Europa. Una volta lì c’era l’acciaieria, scheletro di lamiere e ciminiere sullo sfondo di un cielo blu cobalto. “Papà, gridavi mentre dormivi, lo sai?” mi sussurra Ettore. Sento le lacrime farsi strada sul mio viso. “Sì Ettore, ho avuto un incubo”. “E perché piangi?” mi chiede curioso. “Piango per te, piccolo, perché sono felice del mondo che ti sto lasciando.”
Al tramonto, la mia città brilla. Specialmente in inverno, col calare del sole, le strade, gli autobus, i palazzi, le auto del ritorno, tutto si tinge di rosso, un rosso brillante e intenso, quasi commovente. A volte il rosso è così vivo, così reale da far sembrare la mia città un’immensa tela scarlatta. E l’orizzonte finalmente è infinito.